Il comandante in azione torna in pensione

Nell’ormai lontano 1963 il grande Totò metteva in ridicolo la disciplina, l’onore e la servilità propria della vita militare. Nel film “Il Comandante” diretto da Paolo Heusch, seguiamo le vicende di un generale, interpretato da Totò, che dopo lunghi anni di servizio che vanno dalla Battaglia di Caporetto nel 1917 fino ai giorni contemporanei al film, viene messo in pensione. La rigida mentalità militaresca mette in difficoltà il generale nella vita di tutti i giorni da pensionato. Non si riesce ad adattare, il suo atteggiamento fuori la sua caserma, dove comandava tirannicamente, è ridicolo se non tragico. Questo film metteva in pensione l’esercito e la sua disciplina come qualcosa di arcaico, imbarazzante e fuori luogo nella società dei consumi dei primi anni 60. Gli uomini forti non erano più rispettati, se non all’interno della loro cerchia, l’Italia era cambiata e il militarismo del ventennio fascista, che aveva causato cosi tante vittime e cicatrici mai rimarginate veniva, o almeno lo si sperava forse, messo in pensione, per lasciare spazio a nuovi valori più congrui con i tempi. Il film finisce con il generale, tranquillo e sorridente, ma sopratutto innocuo, su una panchina di un laghetto circondato da pensionati intento a telecomandare una barchetta elettrica.

Facendo un salto di esattamente 60 anni siamo ai giorni nostri, il 2023, e presto vedremo manifesti di un nuovo film intitolato “Il Comandante”, questa volta diretto da Edoardo De Angelis.

Prima di addentrarci nel tema è giusto fare una premessa. Nel momento in cui scrivo il film è ancora in produzione, non è uscito neanche un trailer…e allora giustamente ci si può domandare: si può scrivere di un film prima che sia uscito? Oppure: come si fa a commentare un film senza averlo visto?  Bene, a queste possibili domande tengo a rispondere. I film che vengono prodotti sono generati all’interno di un’industria culturale a sua volta controllata da chi ha le possibilità finanziare e possiede i mezzi di produzione. Nel caso italiano, stiamo parlando dello Stato, delle sue Regioni, e dei privati arricchitisi nei più svariati modi, anche attraverso il Cinema. I film rispecchiano sempre i tempi in cui vengono prodotti, sia per le disponibilità tecniche con cui vengono girati e distribuiti, sia per il messaggio che propagano. I tempi nostri, cari lettori, ammettiamocelo, sono tempi di guerra. Si può far finta ancora che la guerra sia una cosa lontana, che non ci riguarda direttamente, però i fatti dicono altro. Se ci concentriamo sui paesi appartenenti all’Unione Europea, tutti, compresa l’Italia, hanno aumentato i finanziamenti destinati ai propri eserciti o a settori strumentali alla guerra. Ma come ben sappiamo, i soldi non possono essere stampati a piacimento e, quindi, da qualche parte si dovranno pur prenderli. In Danimarca hanno annullato una festa popolare per reindirizzare i finanziamenti al loro esercito. In Italia possiamo facilmente immaginare dove vengono e verranno effettuati i tagli; stiamo parlando di tutto ciò che riguarda la cultura. E qui spero che i lettori si sentano chiamati in causa, poiché se ancora si crede che la cultura sia un diritto popolare, se la cultura deve essere cosa pubblica e non controllata a piacimento da privati, allora è tempo di ammettere che viviamo in tempi di guerra ed è giusto allora poter parlare di un film prima che sia uscito, perché questo film è un prodotto di propaganda militarista.

Nel 2017 andava in onda la prima stagione del programma televisivo “Il collegio” prodotto da Rai 2. Il format consisteva nel mettere insieme degli adolescenti cosi narcisisti ed egoisti da essere considerati, secondo i criteri della Rai, dei ribelli, ai quali deve essere imposta disciplina e ordine. Per questo vengono chiusi in un collegio che segue metodi pedagogici arcaici, basati sulle punizioni, il rispetto e la sottomissione totale all’autorità dei professori e del temibile preside. Questo programma è stato un successo tra i preadolescenti e gli adolescenti. Il 27 gennaio 2021, in piena crisi Covid, va in onda un programma con un formato simile, sempre su Rai 2, destinato ai preadolescenti e agli adolescenti, questa volta chiamato “La Caserma”. Segue le stesse logiche de “Il Collegio”, solo che, questa volta, i giovani partecipanti, per l’occasione chiamati “reclute”, vengono descritti dal programma come appartenenti tutti alla generazione Z e dunque nativi digitali (che in qualche modo per gli ideatori del programma e per la Rai equivale ad essere dei teppisti da disciplinare). “La Caserma” si trasforma in un carcere, ma forse sono sempre state due facce della stessa medaglia. Basti pensare a quanti giovani proletari intervistati nei quartieri più poveri d’Italia nel documentario “Futura” di Munzi, Marcello e Rohrwacher, alla domanda: cosa farai nel futuro? rispondevano: il militare. Bene, secondo il comunicato stampa della Rai, “La Caserma è un esperimento sociale che farà riflettere sui ragazzi compresi nella fascia degli under 30. Parole d’ordine saranno: disciplina, dovere, convivenza, addestramenti e dure esercitazioni. […] Dovranno adattarsi ad un rigido percorso di formazione militare rispettando le regole imposte da cinque istruttori professionisti. […] Questi giovani avranno dunque trenta giorni per superare i propri limiti, per crescere e diventare un po’ più adulti. Scopo del programma sarà la formazione di un gruppo solidale e unito: ciascuno dei protagonisti dovrà sviluppare il “senso del fare” -sfruttando le capacità e superando le divergenze- per un unico obiettivo: essere una squadra.” Ovvero, diventare dei bravi cittadini o soldati, due categorie che nel futuro sfumeranno. Andando avanti di poco nel tempo, il primo marzo 2021, lo Stato affida la difficile gestione della crisi Covid al generale dell’esercito Francesco Figliuolo, che sarà molto presente in TV con interviste e discorsi alla “nazione”. Un anno dopo scoppia la guerra in Ucraina. Ieri come oggi ho seguito l’evoluzione di questi eventi attraverso il filo rosso del militarismo che poi ha portato dritto alla guerra tra due potenze imperialiste, creando, de facto, due blocchi che si contendono l’egemonia economica su scala globale, sempre sulla pelle dei popoli. Attraverso la lettura dell’evoluzione di queste serie TV, volevo mettere in luce il fatto che la propaganda militarista era iniziata molto prima dello scoppio della guerra o della vittoria della destra (con le sua retorica bellica, la leva volontaria…che, fra l’altro, non sarebbe un po’ come partecipare a La Caserma?).

Allora perché parlare di un film prima che sia uscito? Perché se si vuole sopravvivere, o almeno far sopravvivere dei valori, bisogna affilare la nostra capacità analitica del mondo che ci circonda. In Italia i giovani dal 2017 vengono opportunisticamente manipolati tramite questi reality, abituandosi alla disciplina e ai valori dell’ordine e della gerarchia. Mi viene in mente di nuovo il docu-film “Futura” dove della bambine borghesi in un centro ippico dicevano che la legge esiste per aiutarle.

Concezioni lontanissime da quelle di una parte di giovani in Italia che attuano un rifiuto totale verso qualsiasi autorità. A questi giovani, però, la risposta dello Stato è quella di aumentare le fila delle comunità disciplinate e delle carceri attraverso la repressione contro qualsiasi dissenso. Caserma o carcere sembrano il futuro della gioventù. Posso sembrare drammatico, ma è un riflesso dei tempi in cui viviamo. Giorni bui dove anche il comandante mandato in pensione, invece di morire, ritorna più vigoroso di prima, adottando la logica degli slasher.

Il film “Il Comandante” di De Angelis racconterà la storia di Salvatore Todaro interpretato da Pierfrancesco Favino, “l’attore italiano oggi più importante, più versatile, probabilmente il più rappresentativo” (parole del Quotidiano Nazionale, giornale dell’ordine e della disciplina). Favino ora è forse all’apice della sua carriera, (forse un sex symbol del cinema italiano?) fresco di vari film che hanno attirato l’attenzione, almeno dei sedicenti critici giornalistici, “Il Colibrí” e “L’ultima notte di amore”. Sicuramente porterà un pò di pubblico in più a vedere la sua italianissima interpretazione da comandante. Tornando a Todaro, in quanto figura storica, è stato un militare del regio esercito, italianissimo (anche lui) e fascistissimo comandate di un sottomarino. L’esercito italiano, famoso per essere disastroso, oggi più per confortare quella parte di cittadini che sente ancora il bisogno della sua protezione e che crede nei suoi ideali, si trova davanti al duro compito di dover creare dei nuovi miti, dei nuovi eroi. Non sapendo dove andare a pescare (per non rispolverare direttamente il mito del Duce, troppo scomodo, anche se di poco, per la destra di governo e i militari) e non potendo prendere a modello militari vivi, nonché quelli appartenuti alla P2, l’unico bacino possibile al quale attingere era di nuovo il ventennio e la seconda guerra mondiale. Ma perché proprio lui e non qualsiasi altro? Perché non si può dire Esercito senza dire Chiesa. Todaro è stato ripescato dai meandri della storia per un gesto che lo ha reso famoso, un gesto di carità cristiana verso il prossimo. Nel 1940, dopo aver affondato un piroscafo belga denominato Kabalo, con a bordo 26 uomini che combattevano il nazifascismo, mosso dall’onore e dall’amore verso il prossimo, caricò i superstiti su una zattera e li trascinò a terra, quando questi sarebbero probabilmente finiti prigionieri. Per questo suo gesto, che non gli costò né anni di galera né altre punizioni, ma solo un rimprovero sulla sua cattiva condotta, oggi viene acclamato da giornali come La Repubblica, L’Avvenire (che si vanta di aver fatto scoprire la storia al regista De Angelis, anche lui devoto cattolico da quanto si vede nella sua pagina Facebook dove dice che i Santi esistono davvero) e altre testate di destra.

Peccato che questo militare combatteva per le potenze dell’Asse, guidato da un’ideologia totalitaristica, razzista, di conquista e sottomissione di tutti i popoli. Peccato che questo Comandante aveva prestato servizio sulle coste della Catalogna durante la guerra civile spagnola, combattendo sul campo contro la rivoluzione e aiutando i franchisti a conquistare il potere. Bene, ed ecco che ne faranno un mito, dove tutto questo non verrà né detto, né mostrato (siamo comunque parlando solo di cinema). Il racconto sicuramente sarà condito da una storia d’amore, di fratellanza e di buona condotta cattolica. Ma questo è un cinema manipolatorio, meschino e utilitaristico, asservito ad un’ideologia militarista, la quale ancora non riesce ad attecchire totalmente nella popolazione. Per questo devono creare nuovi eroi, per creare nuove simpatie, per rendere più accessibili i loro valori, presentati però in maniera distorta, simili in tutto per tutto a quelli del programma La Caserma. Parlo di cameratismo, onore e disciplina. Valori che ci porteranno tutti dritti nella fossa. Magari dopo che sarà uscito il film, qualche ragazzino potrà travestirsi come “Il Comandante”, fare magari un saluto romano, cosi per scherzare e, magari, il giorno dopo picchiare qualche studente fuori dalle scuole come a Firenze. Però, se dopo averlo picchiato chiamerà l’ambulanza, il danno non ci sarà. Almeno seguendo la logica di questo film. C’è (e spero di averlo dimostrato) una tendenza di propaganda militarista nell’industria culturale italiana. Spero di aver messo in allerta i lettori, sopratutto quelli che con la comunicazione e la cultura ci lavorano. “Il Comandante” è un film di propaganda, dove degli assassini verrano mostrati come eroi. Questo tipo di cinema, basato sulla spettacolarità (hanno costruito un sottomarino da zero per il film, ci saranno combattimenti in mare ecc.), creerà forte empatia e simpatia con i protagonisti proiettati sullo schermo, motivo per cui è un film pericoloso. “Il Comandante” sarà un supereroe (o un superuomo?) come quelli della Marvel? Sarà un film che scimmiotterà quelli dei supereroi americani come “Lo chiamavano Jeeg Robot”, “Il ragazzo invisibile”, “Diabolik”, “Freakout”? Non lo so, so soltanto che sul suo profilo FB, il regista, ha postato una foto in cui lui e altri attori, tutti sorridenti, sventolano una bandiera nera con un teschio umano, accompagnato dalla scritta “La bandiera tutta azzurr… ah no.” E questo basta per metterci tutti in allerta e prendere posizione contro questo tipo di cinema…E sì, lo si può fare anche senza aver visto il film, perché non stiamo parlando della bravura tecnica degli attori o del direttore della fotografia ma di idee che vengono propagate.

Il comandante doveva restare in pensione…ma forse è tornato anche perché molte, troppe persone sono state troppo transigenti; e ora sarà difficile dirgli di tornare a pilotare un innocua barchetta sulla sponda di un laghetto, ora che può pilotare sommergibili con testate nucleari.

Errico Ferroni

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